giovedì 25 agosto 2011

SIC TRANSIT GLORIA MUNDI

Il nostro blog in poco tempo sta diventando un punto di riferimento sia in Italia che all’estero: quotidianamente, infatti, riceviamo contatti da Paesi quali Russia, Bielorussia  ma anche Cina, Stati Uniti, ecc. Questo perche’, in piu’ occasioni e con l’aiuto di chi ci segue assiduamente, siamo in grado di dare delle notizie in anteprima che poi, come nel caso che sta adesso inondando la rete e i maggiori quotidiani, sono dei veri e propri scoop. Siamo stati in effetti i primi a pubblicare il video, rinominato “Beau Geste” dove l’ex Direttore dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di Lucca faceva delle affermazioni piuttosto inquietanti.

Adesso, per dovere di cronaca, informiamo i nostri lettori che secondo la Gazzetta di Lucca,  dopo una ricognizione all’ANPI di Genova, le dichiarazioni di quel video non sono affatto, come ventilato da alcuni, frutto di mera fantasia e, cosa ancor piu’ grave, non hanno coinvolto solo degli inermi prigionieri di guerra tedeschi, bensi’ a piu’ largo raggio, anche russi e soprattutto italiani.

Da “LA GAZZETTA DI LUCCA” del 24 agosto 2011

Giannecchini ha ragione: la strage di tedeschi, e italiani, c'è stata. Ecco la storia dei 39 prigionieri uccisi a sangue freddo

mercoledì, 24 agosto 2011, 20:18
di fabrizio vincenti
La strage c’è stata. Anzi, ce ne sono state ben tre nel giro di pochi giorni in quel di Cravasco, in provincia di Genova, ad un pugno di giorni dalla fine della seconda guerra mondiale. Altro che visionario o arteriosclerotico. Lilio Giannecchini, il discusso ex presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Lucca, non ha le traveggole. Si è limitato, in un filmato di alcuni anni fa, ribadito nella sostanza nel corso di un’intervista televisiva a Noitv nella giornata di ieri, a ricordare un massacro di soldati tedeschi (e non solo) prigionieri come rappresaglia ad una fucilazione di un gruppo di partigiani avvenuta alcuni giorni prima.
La storia, indicativa di quanto, in quei giorni di odio, valesse la vita umana, ha inizio il 22 marzo del 1945. A poco più di un mese dalla fine della guerra, almeno in Italia. In quel pomeriggio, nove militari tedeschi vengono attaccati da partigiani della “Brigata Balilla” comandata da Angelo Scala, detto “Battista” sulla strada che da Cravasco va a Pietra Lavezzara.  La brigata partigiana è costituita da non molti elementi, tutti provenienti dai Gap di Genova, ovvero partigiani comunisti abituati a colpire nei centri cittadini, con azioni fulminee, spesso contro bersagli fascisti isolati, spesso disarmati. Appena usciti di casa, magari intenti a montare in bici o a prendere il tram. E molto spesso tra gli elementi meno estremisti del fascismo, proprio per provocare reazioni ancora più esacerbate.
I tedeschi, peraltro militari dell’esercito e non SS, procedono in fila indiana e vengono eliminati tutti in un breve scontro a fuoco. I loro nomi? Eccoli:  Hans Schwartz, 21 anni; Walther Labhan, 22 anni; Wilhelm Oberndorfer, 20 anni; Rudolf Meister, 32 anni; Jakob Putz, 28 anni; Eduard Kruger, 39 anni; Paul Johann Fischer, 38 anni; Hans Wilhelm Schroder, 22 anni; Rudolf Platt, 21 anni.
La memorialistica resistenziale parla di un’intimazione alla resa e poi dell’uccisione di tutti i militari, senza perdite da parte partigiana. Dalla parte opposta si  descrive l’episodio come un vero e proprio agguato, al punto che sul quotidiano “Il Lavoro” nell’edizione del 24 marzo, si precisa che quattro dei nove militari sono stati finiti con un colpo alla nuca. Versioni, come si vede, contrastanti.
Di sicuro, invece, c’è la rappresaglia tedesca, nonostante che il il comando tedesco, ormai in procinto della resa, avesse ordinato lo stop alle fucilazioni. A decidere la rappresaglia è il tenente colonnello delle SS Friedrich Wilhelm Konrad Siegfried Engel, detto “il boia di Genova”, condannato a numerosi ergastoli per crimini di guerra, peraltro mai scontati. Engel preleva dal carcere di Marassi 20 partigiani, alcuni dei quali già condannati a morte, uno, addirittura, senza una gamba. Due di essi riescono fortunosamente a fuggire durante il trasporto verso il luogo dell’esecuzione. Un terzo, miracolosamente, sopravvive all’esecuzione: si tratta di Franco Diodati. A morire sono però in 17 davanti al cimitero di Cravasco: Oscar Antibo, 36 anni; Giovanni Bellegrandi, 26 anni; Pietro Bernardi, 35 anni; Orlando Bianchi, 45 anni; Virginio Bignotti , 57 anni; Cesare Bo,  21 anni; Pietro Boldo, 31 anni; Giulio Campi, 54 anni; Gustavo Capitò, 48 anni; Giovanni Caru', 33 anni; Cesare Dattilo, 24 anni; Giacomo Goso, 50 anni; Giuseppe Maliverni 20 anni; Nicola Panevino 35 anni; Renato Quartini, 21 anni; Bruno Riberti 18 anni; Ernesto Salvestrini, 22 anni.
Sangue chiama ancora altro sangue.  Stavolta, sono i partigiani che vogliono vendicare i loro compagni. La controrappresaglia, appoggiata dal Comano Alleato, è ancora più spaventosa nella consistenza. Dal campo di prigionia di Rovegno vengono prelevati 39 prigionieri. Sono tedeschi,  ma non solo: tra essi ci sono anche ex prigionieri di guerra sovietici passati con l’Asse, due civili, 13 militi della Brigata Nera di Alesssandria e un bersagliere della Divisione Italia. I 39 prigionieri vennero portati in località Monte Carlo e uccisi. Ecco i nomi degli italiani, per gli altri, specie per i soldati dell’Est Europa, non è stato possibile risalire alla loro identità: Secondo  Albalustro, 17 anni; Angelo Bagnasco 17 anni; Martino Bianchi 17 anni; Lazzaro Buzzo 18 anni; Giulio Costantino,18 anni; Giuseppe Gaeta 18 anni; Angelo Granelli, 18 anni, Armando Raciti, 16 anni; Stefano Raffaghello, 16 anni; Giuseppe Riccardi, 19 anni; Giovanni Senna, 16 anni, Alfredo Vagaggini, 17 anni, Angelo Viola, 17 anni.
Dunque Giannecchini ricorda bene, visto che lui, il partigiano, l’ha fatto proprio in quella zona e molti dei particolari che ha riferito collimano perfettamente con queste tragedie di Cravasco. A questo punto, difficile non parlare di un ennesimo crimine di guerra, per quanto a distanza di oltre 60 anni c’è da interrogarsi quanto valga una sentenza. Rimane un altro interrogativo, tralasciando qualunque considerazione di natura politica: la giustizia è uguale per tutti o, almeno in quei tristi giorni, uccidere a sangue freddo un tedesco o un fascista era garanzia di impunità?



A corollario di tutta questa vicenda aggiunge infine “BargaNews” di stamani:

“Ricordiamo che questa persona, perennemente in lotta contro Barga, la famiglia Sereni in particolare, era stata già dichiarata “non gradita a Barga” con atto formale della giunta Campani. Lo stesso era stato poi riaccolto per una pseudo donazione di un libro, ma dopo lo scoppiare della vicenda Sereni il suo nome era tornato sui banchi del consiglio comunale con una condanna dei suoi comportamenti espressa dal consiglio tesso.
Ricordiamo di lui, ancora non in positivo purtroppo, la notevole responsabilità avuta nella errata  iniziativa per l’ attribuzione della medaglia d’Oro al Valor Civile per la Resistenza ai Comuni della Garfagnana, e la totale voluta, dimenticanza ed esclusione dei ben più importanti comuni che hanno subito le lunghe sorti della guerra nella  Media Valle, Barga, Fabbriche, Borgo e Bagni, che per un Istituto Storico appare un atto di estrema superficialità e leggerezza non ammissibile.”


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