lunedì 14 gennaio 2013

IL MISTERO DEL PARTIGIANO SCOMPARSO



CHE FINE hanno fatto i resti del partigiano Lodovico Venturi? Se lo chiede da qualche mese sua nipote, Nadia Pacchioni, l'ultima della famiglia, rimasta a custodire una storia che non è solo un prezioso ricordo privato, ma un patrimonio che tutta la comunità pistoiese dovrebbe tramandare con orgoglio. Il giallo sulla scomparsa della salma è sorto l'estate scorsa, quando Nadia ha fatto richiesta di poter aprire la tomba dello zio, sepolto nel cimitero di Pracchia, per porre accanto alla sua la salma di un cugino che portava lo stesso nome, scoprendo così, che i resti del caro estinto non si trovavano più dove avrebbero dovuto essere. Al loro posto è stata trovata, infatti, una bara completamente zincata che contiene la salma di un giovane, il quale avrebbe, nell'arcata dentaria, un ponte in oro e in ceramica troppo moderno per essere compatibile con le cure dentistiche effettuate negli anni '40. Accanto a quella esaminata ci sarebbe un'altra bara, contenente le spoglie di un giovane, anche queste non compatibili con quelle del partigiano Venturi. «Ho scritto al sindaco Bertinelli e al capo di Gabinetto, Simone Ferretti  racconta Nadia Pacchioni , che mi hanno assicurato che avrebbero fatto ricerche anche sul DNA dei resti prelevati nelle due bare, ma poi nessuno mi ha più contattata. Mi sembra una cosa grave, anche in considerazione del fatto che c'è una legge specifica, la numero 204 del 9 gennaio 1951, che stabilisce che le salme dei caduti possono essere concesse ai familiari, qualora ne facciano richiesta, ma in ogni caso, non possono andare disperse». Lodovico Venturi, nome di battaglia «Molotow», morì il 16 settembre 1944 in località Olivacci, sulla strada che da Pracchia conduce a Porretta, vicino a Biagioni. «Lodovico  racconta la nipote Nadia  aveva solo 23 anni quando fuggì dalla Francia disertando. Riuscì poi a raggiungere Vaiano e a unirsi alla Brigata Bozzi, dove combatteva anche un cugino, Duilio Venturi». «POCO DOPO i partigiani decisero di compiere un'imboscata, in località Olivacci, a un convoglio tedesco con a capo il comandante della Linea Gotica proveniente dalla zona di Viareggio, che sarebbe passato sulla strada Porretta-Pracchia, in direzione Bologna. Lodovico  spiega Nadia  avrebbe dovuto uscire allo scoperto, salire sulla macchina del generale e ucciderlo, e così fece. Il generale ferito fu trasportato nell'infermeria della SMI e Lodovico, anche lui ferito, fu preso prigioniero. Mio zio fu preso, torturato sul posto, finito con un colpo di coltello alla gola, esposto sul muro della forra e piantonato per vari giorni nel tentativo di farlo riconoscere per procedere ad una rappresaglia. Tutti sapevano chi era ma non fu mai fatto il suo nome. Il generale comunque in punto di morte, probabilmente grazie all'intervento del direttore della SMI, Kurt Kaiser, pare che avesse ordinato di non fare rappresaglie sulla popolazione civile (i destinati alla fucilazione erano 100)» «LODOVICO fu sepolto dai tedeschi, nel bosco circostante, si disse con in tasca delle mine, con mani, testa e piedi fuori dal terreno, in disprezzo della vita del ragazzo che, secondo i tedeschi, non era degno neppure di un'umana sepoltura. Dall'altra parte, i compagni partigiani avevano fatto prigionieri due ragazzi tedeschi e, dovendo disseppellire Lodovico, pensarono che sarebbe stato più giusto obbligare i giovani tedeschi a farlo». «MIO NONNO PERSILIO  racconta Nadia  si oppose e scavò da solo la terra che ricopriva suo figlio con le mani. Le mine non c'erano o comunque non esplosero. Mio nonno non ha mai voluto descrivere il figlio, non volle più parlarne. Il funerale si svolse a Pracchia. Nelle foto che ancora conservo, si vedono anche alcuni compagni della Brigata Bozzi e la bara coperta dalla bandiera. Per noi il suo corpo avrebbe dovuto essere nel cimitero di Pracchia, accanto a quello di Augusto Paccagnini, un ragazzo fucilato a Monte Acuto». «Spero  dice Nadia  di vivere abbastanza da tenere in braccio un nipotino e, come faceva la mia nonna con me, spero di potergli dire: Ti racconto una storia, ma non una qualunque, la nostra storia...'». 

di MARTINA VACCA

da LA NAZIONE, cronaca di Pistoia, del 14.01.2013.