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Nazione e Patria valori minoritari nella Resistenza
di Giulio Corsi
PISTOIA. Un'altra pagina si aggiunge alla storia del leggendario Manrico Ducceschi, il comandante Pippo, capo dell'XI Zona Patrioti, operante dall'Abetone alla Garfagnana, tra la media Val di Serchio e tutta la Val di Lima, uno dei nuclei partigiani più attivi del centro Italia ma allo stesso tempo meno conosciuti. In realtà le pagine che si aggiungono alla storia di Manrico Ducceschi, e sullo sfondo del suo dramma umano, militare e patriottico a quelle della Resistenza italiana, sono molte di più: in totale cinque anni di storia, dall'armistizio alla fine della guerra e ancora dopo, al triennio che porterà il Paese alle elezioni del 1948. 400 pagine, firmate da Giorgio Petracchi, uno dei massimi studiosi pistoiesi, professore ordinario di storia delle relazioni internazionali all'università di Udine, nella riedizione del volume Al tempo che Berta filava, edito da Mursia e in libreria da pochi giorni al prezzo di 20 euro. Quindici anni dopo la prima edizione - datata 1995 -, il resoconto della "guerra totale" vissuta dagli italiani tra il 1943 e il 1945, scritto alla luce dei documenti dei National Archives di Washington, del Public Record Office Foreign di Londra, e di testimonianze dirette di alcuni ex partigiani dell'XI Zona, è aggiornato e riveduto con maggiore attenzione alla vicenda umana di uomini e donne coinvolti nel conflitto: dai personaggi noti come il comandante Pippo alle migliaia di persone i cui nomi non sono rimasti nelle pagine di storia, anche grazie alla declassificazione di importanti documenti dei servizi segreti studiati da Petracchi in questi anni tra Stati Uniti e Regno Unito. Si amplia anche l'arco temporale, che entra a pieno nel secondo dopoguerra e arriva al 1948, quando tragicamente muore il comandante ma soprattutto quando termina la fase politica che si era aperta nel 1943. La vicenda personale di Manrico Ducceschi, ma anche la sua interpretazione elitaria della politica come impegno civile e militare contro i tedeschi e per la liberazione nazionale, assume in quel triennio un profilo più preciso: «Contribuisce - spiega Petracchi - a definire il salto di qualità assunto dalla lotta politica. I partiti politici procedevano tra scontri e compromessi alla loro legittimazione reciproca. Sottotraccia gli apparati militari delle fomazioni partigiane (rosse, bianche, autonome, GL) operavano a mantenere un equilibrio virtuale. Questo doppio livello della lotta politica è ancora studiato poco ma la sua conoscenza è necessaria per procedere alla concetualizzazione della storia d'Italia». Ecco che 15 anni dopo, la rivisitazione del primo volume di Al tempo che Berta filava consente di richiamare diffusamente lo scenario politico dei tre anni non contemplati nella prima edizione. Ma un'altra ragione rende la lettura di quegli anni ancora più di attualità: i 150 anni dell'Unità e «l'incerta impostazione di questo controverso Centocinquantenario, privo di un'idea chiara di Stato e di nazione che vorrebbe invece celebrare», sottolinea lo storico pistoiese. «Il variegato fronte azionista di cui il comandante Pippo fu espressione cercò di dare vigore nella lotta resistenziale a un'idea di nazione, intesa come patria coniugata a libertà a democrazia, a un forte senso dello Stato e delle istituzioni, di chiara impronta risorgimentale. E una parte dell'azionismo intese riaffermare questa idea di nazione nella temperie del dopoguerra attraverso la costruzione della "terza via". Ad esso tuttavia mancò proprio la forza di impedire la frantumazione della nazione al suo interno e la sua trasformazione nel campo d'azione dei due imperialismi opposti e trionfanti». La decisione del comandante Pippo di riprendere a collaborare con i servizi segreti americani nell'incandescente clima post 1945 è la testimonianza che il suo percorso, vincente nello stato d'eccezione della guerra partigiana, è già chiuso senza possibilità di sbocco, che non sia quello di spostarsi su uno dei due poli: sovietico o americano. «La sua tragica fine - spiega Petracchi - prefigura non solo la sconfitta del suo percorso personale ma anche il fallimento di tutto ciò che in esso era implicito: la sua concezione di nazione e della terza forza per sostenerla»."