mercoledì 23 settembre 2015

RICORDANDO LA GRANDE GUERRA




In questi giorni si stanno moltiplicando le iniziative di commemorazione della Grande Guerra di cui si ricorda il centenario. Nel nostro piccolo anche noi vogliamo contribuire ricordando la figura di Fernando Ducceschi, padre del Comandante Partigiano Manrico “Pippo”, che fu Sergente dell’Aeronautica Italiana  e successivamente decorato per il valore dimostrato.





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martedì 15 settembre 2015

PROFONDO ROSSO – IL MUSEO CHE NON C’E’ PARTE 2


Approfondendo la curiosa questione del Museo già accennata precedentemente apprendiamo con sconforto che, se da una parte si festeggiano quest’anno i 70 anni della Liberazione, c’è chi ha preso molto alla lettera quest’ultima parola e così il 12 gennaio scorso, ha deciso di liberarsi definitivamente del Museo della Liberazione. Costui altri non è che il Sindaco di Lucca Alessandro Tambellini, laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Pisa, nonché Assessore alla Cultura. Ma evidentemente allineato a coloro (ex Direttore dell’Istituto Storico docet) che pensano che la Resistenza sia esclusivamente di una ben nota matrice politica ed ha deciso pertanto di far cadere nell’oblio un Museo che certo non manca di visitatori, lo stesso oblio che, per identico motivo, da molti anni avvolge anche la figura del Comandante “Pippo”, dimenticato sin da subito dalle istituzioni nazionali e successivamente anche da quelle locali.

Ad ogni modo, per amor di cronaca e per completezza dell’informazione riportiamo la genesi della vicenda.


Da “La Gazzetta di Lucca” del 13 gennaio 2015


Museo della Liberazione: vince la politica?

di Silvia Toniolo

Una caffetteria con un bookshop al posto del Museo della Liberazione? Una mossa del sindaco nonché assessore alla cultura Tambellini per raggiungere, nell'ottica di riqualificazione del Must, quel fatidico pareggio di bilancio o, semplicemente, allergia al fazzoletto bianco?

I rapporti, tesissimi, da sempre intercorsi tra la giunta di centrosinistra e l'associazione Amici del Museo della Liberazione fanno propendere per la seconda ipotesi. Quale sarebbe infatti il senso di sfrattare un angolo di cultura, tanto importante, quanto lo è quello che offre l'Istituto storico della Resistenza targato interamente “comune di Lucca”?

Nel 2014 hanno visitato il museo 15 mila persone, in soli 28 giorni. Dove sta quindi il problema di Tambellini visto che, in questo momento, avrebbe ben altri vuoti da colmare?

Tra l'altro la delibera di giunta, del 30 dicembre, che revoca la convenzione è stata pubblicata sull’albo pretorio, ma l'associazione non è ancora stata avvisata dell'imminente sfratto.
“Lo abbiamo saputo dalla stampa – dice, a nome dell'associazione, il direttore Andrea Giannasi – Come ci muoviamo? Partiamo dal presupposto che, fino a quando il comune non ci dirà nulla, rimarremo nelle nostre stanze. Non sappiamo tra l'altro con chi dobbiamo parlare. Possiamo dire comunque che siamo a totale disposizione del comune in maniera serena. Abbiamo da sempre messo al primo posto dialogo e confronto".

"Se siamo disposti ad andarcene? Si - risponde convinto - se arriverà la comunicazione ufficiale. Ci saranno poi sei mesi di tempo”. Ma non sarà una dipartita serena quella dell'associazione, dal momento che, se Tambellini ordina lo sfratto, dovrà fare i conti con delle inadempienze certifcate. A partire dal fatto che l'attuale amministrazione non avrebbe ancora dato, all'associazione, l'agibilità che le spetta, secondo la convenzione stipulata con Favilla".

“Il comune non ha ottemperato alla convenzione fino ad oggi – spiega Giannasi – E' un pasticcio gigantesco e sono convinto che appena la magistratura ci metterà le mani bloccherà ogni cosa. Posso solo farmi portavoce del rammarico dell'associazione perché questo è un museo che parla a tutti, che racconta la guerra per costruire la pace senza bandiere”. L'amministrazione di centrosinistra però, la quale pensa che la Resistenza l'abbiano fatta solo i partigiani rossi, sarebbe, secondo quanto denunciato dalla stessa associazione in questi anni, non solo venuta meno agli accordi, ma avrebbe, addirittura, letteralmente ostacolato in tutti i modi l'attività del Museo.

“Politicamente dà fastidio alla sinistra – spiega l'associazione - I motivi sono personali, di gelosie. C'è dietro la storia personale di qualcuno che vorrebbe prendersi il museo. E' un passaggio culturale orrendo, dittatoriale, è stalinismo puro”.

“Dove porteremo le nostre collezioni? Ancora non lo sappiamo, sentiremo se qualche Fondazione a Lucca è disposta ad ospitarci e, se non fosse possibile, chiediamo a tutti i comuni della provincia se vogliono questo museo. Ci dev'essere un comune disposto ad accoglierci. Altrimenti faremo richiesta a livello nazionale”.


 Successivamente da “Il Tirreno” del 14 aprile 2015

Liberazione, il museo va avanti da solo

Definiti orari e attività. «In futuro lo affideremo agli studenti»



Purtroppo, però, abbiamo visto ieri come stanno le cose in realtà.

La Redazione

 


lunedì 14 settembre 2015

IL MUSEO CHE NON C’E’




“Seconda stella a destra, questo è il cammino … e poi dritto, fino al mattino. Poi la strada la trovi da te, porta al … Museo che non c’è!” verrebbe da canticchiare, parafrasando la ben nota canzone di Edoardo Bennato quando si pensa al Museo della Liberazione di Lucca. E’ un Museo al quale sono personalmente affezionata in quanto a suo tempo fui incaricata da Carlo Gabrielli Rosi, che ne aveva curato l’allestimento originario, di repertare fotograficamente quanto ivi contenuto, pensando di farne un catalogo, magari da mettere su Internet perché, malgrado l’età avanzata, Rosi era di mente vivace e veloce, aperto a qualsiasi innovazione che avrebbe potuto aiutare in qualche modo la divulgazione del contenuto di quel Museo. E’ cosi’ che mi parlò anche della Bandiera della Formazione, quella bandiera con l’asta rotta da un colpo di pistola durante una battaglia, bandiera che però in ben altra commemorazione ufficiale, fu rifiutata perché ne era stata fatta una nuova, addirittura con i caratteri dorati: forse più bella esteticamente, ma più vuota di significato rispetto a quella originale.

Dicevo, quindi, che tanto caro mi fu questo Museo, da averne parlato ad amici di Milano, anch’essi appassionati di storia nonché con lo stesso nome familiare, tanto da averli incuriositi e così, desiderosi di visitare quello che, nel frattempo, era diventato un Museo con tutti i crismi, con tanto di sito Internet ed apertura nelle Notti Bianche, si erano apprestati a contattare la struttura per fissare una visita. Con mio sommo stupore i miei amici mi dicono che nessuno ha risposto alla loro mail e che il numero che compare sul sito risulta inesistente. Ma si sa, a volte chi è molto impegnato e si perde nella Storia, è passibile di dimenticanza nell’aggiornare le pagine web e così mi attivo per trovare un altro modo per contattare l’attuale responsabile del Museo. Riesco nell’impresa, i miei amici concordano un appuntamento ed entusiasti mi comunicano che proprio nel giorno della festività della Santa Croce, andranno a visitare questo Museo, così ci diamo appuntamento lì.

Passano 10 minuti, poi mezz’ora, quindi un’ora… il ritardo si fa imbarazzante, anche perché al mio arrivo trovo in fila un discreto gruppetto di turisti interessati anche loro alla visita e che ci guardano speranzosi che, se noi siamo lì, allora sì, il Museo aprirà … ma poi se ne vanno delusi dall’inutile attesa. Ovviamente il responsabile risulta irreperibile, ha messo la segreteria telefonica e a niente valgono i nostri messaggi lasciati nella speranza di una vana risposta. Così alla fine ce ne andiamo, con grande delusione. Osserviamo che anche l’insegna del Museo ha subito un atto dovuto alla scarsa presenza di personale: qualcuno ha lanciato là sopra della vernice nera (e  questo apprendiamo risalirebbe addirittura al 2014!) dimostrando, oltre che di aver fatto un gesto assolutamente riprovevole, di non aver capito che si può cancellare qualcosa che esiste, non qualcosa che, come nella canzone di Bennato, probabilmente si trova soltanto … nell’Isola che non c’è, come, a quanto pare, anche questo Museo sempre inesorabilmente chiuso.

Laura Poggiani
 


venerdì 26 giugno 2015

NUOVI DOCUMENTI SULLA FORMAZIONE “SILVANO FEDI”

Riceviamo da Roberto Daghini il suo articolo che qui di seguito pubblichiamo.

NUOVI DOCUMENTI SULLA FORMAZIONE “SILVANO FEDI”


di ROBERTO DAGHINI
Resi pubblici e consultabili due faldoni di circa mille carte. Un attento esame potrebbe, se non chiarire del tutto certe vicende, almeno aggiungere nuove e preziose notizie alla storia

Silvano Fedi
SERRAVALLE. All’Archivio Centrale dello Stato, a Roma, sono stati resi pubblici e consultabili, due faldoni, di circa mille carte, sulla formazione partigiana anarchica Silvano Fedi di Pistoia e di Ponte Buggianese.
La prima operò, fin dalla fine del 1943, nella piana Pistoiese. Di ispirazione libertaria, fu l’unica formazione autonoma dal Cln (Comitato Liberazione Nazionale), il cui capo Silvano Fedi riuscì a aggregare tra collaboratori e partigiani combattenti, circa 54 uomini.
Comandate dotato di un forte carisma, umanità e soprattutto onestà, per i suoi metodi non era ben visto non solo dai fascisti, ma neppure dai comunisti e da parte dei suoi collaboratori, che lo vedevano come un temibile avversario.
Fu accusato anche dai suoi compagni di convivere con il repubblichino Licio Gelli, da cui riuscì a ottenere una collaborazione retribuita per la liberazione dei prigionieri alle carceri di Pistoia; vari assalti alla Questura e al comando repubblichino, posto all’interno della fortezza Santa Barbara.
Nella zona controllata dalla sua formazione, sulla via Fiorentina, tra Olmi, Barba e Bottegone, una banda di ladri, alcuni simpatizzanti comunisti, effettuarono rapine a persone benestanti, alcune filofasciste.
Quattro furono fucilati dai tedeschi, ad altri, individuati, fu detto di consegnare il bottino: secondo le carte del processo questo fu fatto solo in parte, forse il denaro mancante prese altre strade, anche di finanziamento al Pci, o a formazioni ad esso collegate, come era avvenuto per la rapina per le paghe della Smi, operata dalla formazione Comunista Brigata Bozzi.
Anche se questa versione non trova molti sostenitori, può essere un’ipotesi da non scartare. Depositario di molti segreti scomodi, il 29 luglio 1944 a Casalguidi, in località Montechiaro, mentre con il suo comando attendeva qualche persona importante, oltre ai ladri, fu oggetto di un agguato da parte tedesca.
Otre a lui morì, anche il suo luogotenente Giuseppe Guilietti detto “Genova” e, successivamente, il 1° agosto, fu fucilato anche il cantagrillese Brunello Biagini.

Partigiani della Brigata Bozzi
Questi nuovi documenti sono le carte della formazione e le biografie dei partigiani. Sono state versate dal Ministero degli Interni, esercito ricompartigiani all’Archivio Centrale dello Stato. Anche se il tutto non è ancora stato ordinato, da una prima analisi stranamente il fascicolo di Silvano Fedi risulta non presente, mentre lo sono quelli dei componenti della formazione.
Un attento esame dei documenti potrebbe, se non chiarire del tutto la vicenda, almeno aggiungere nuove e preziose notizie. Questo perché le principali fonti (Questura e Prefettura del 1944) non sono ancora reperibili. È doveroso rilevare che a seguito di inevitabili dispersioni e distruzioni accidentali, connesse alle vicende belliche e alle
operazioni di trasferimento e di recupero, e di distruzioni intenzionali in conseguenza dei mutamenti politici, la documentazione di tutto il periodo bellico, e in particolare quella della Rsi, ha subito gravissimi depauperamenti e si presenta, pertanto, molto frammentaria e lacunosa.
Basti pensare che alla fine della guerra, dopo il 25 aprile del 1945, le operazioni di recupero degli archivi degli organi centrali dello Stato sono variamente fortunose: va disperso l’archivio del Gabinetto del Ministero dell’Interno, secondo lo storico Risaliti in parte portato dai Russi da Berlino a Mosca.
Partigiani della Brigata Bozzi
Solo nel 1947, con la firma del trattato di pace, il governo italiano riprende il pieno possesso dei propri archivi. Contrariamente a quanto sembrava deciso in un primo momento, gli archivi della Commissione alleata di controllo non vengono lasciati in Italia, ma vengono portati a Washington.
L’amministrazione archivistica italiana ne sta completando l’acquisto in microfilm per l’Archivio centrale dello Stato: della cospicua parte già acquisita è in corso l’elaborazione di uno strumento di ricerca informatico. Sicuramente l’archivio della Questura Pistoiese conteneva notizie importati, basti pensare che il vice Questore Scripelliti fu ucciso per i documenti sensibili da lui posseduti.
Questo era integro, perché nel 1945 furono richiesti documenti per l’istituzione di processi. Il materiale sensibile potrebbe aver trovato collocazione nell’archivio del Senato, presso la Commissione Stragi, ma ancora non vi sono certezze sulla sua destinazione finale.
Poter esaminare queste carte vorrebbe dire trovare risposte ai molti misteri Pistoiesi. Speriamo che non sia così fra cento anni.


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