Qualche tempo fa, una ragazzina di 14 anni mi sorprese affermando “A cosa serve la Storia? Secondo a me a niente!”. La risposta ovviamente fu immediata: la Storia è la memoria dei popoli quindi siamo noi, il nostro vissuto, i nostri genitori e, in senso piu’ ampio, la Patria, le Tradizioni. Insomma, il nostro passato che serve a costruire il presente e soprattutto il futuro.
Questa mattina, nel sentire gli interventi che si sono succeduti a “La Pianaccina” dove, ogni anno, si commemora l’XI Zona e il suo Comandante “Pippo”, e’ tornata prepotente alla mente quella domanda. A cosa serve la Storia? Si avvicendavano infatti con interventi lunghissimi e poco attinenti, a dire il vero, per zona e compagine, le associazioni nazionali politicizzate. E pensare che Pippo era apartitico ed evitava assolutamente che i suoi uomini parlassero di politica!
A che serve la Storia? Sembrava quasi voler rispondere chi si fregia del titolo di Comandante, malgrado fosse stato solo un Vice, salvo poi essere esautorato del tutto da Pippo stesso per gravi motivi e che adesso in una lettera, ringraziava le suddette associazioni mentre fino a poco tempo prima le evitava accuratamente, almeno a parole.
Allora, a che serve la Storia? Serve soprattutto a capire cosa abbia mosso un ragazzo poco piu’ che ventenne a prendere, in un determinato momento storico, la via dei monti, a sopportare dolori fisici, fatica e sacrifici di ogni tipo per un suo ideale. Serve ad imparare dagli errori del passato per non ripeterli piu’ nel presente, serve soprattutto a cercare di capire cosa pensavano quei giovani di allora perche’ ci accorgeremmo con sorpresa che, dopotutto, i loro pensieri non sono poi troppo lontani da quelli dei giovani di adesso e leggeremo le loro gesta con la stessa meraviglia che loro stessi hanno provato in quei giorni, trovandosi improvvisamente sulle spalle un compito assai piu’ grande della loro giovane eta’.
Ecco, di seguito, quanto avrei letto stamattina ma che invece ho preferito, alla fine, riservare solo a pochi:
“PIPPO” VISTO DA “PELO”
Tratto dalle memorie di “Pelo”, Aldo BATTAGLINI, partigiano dell’XI Zona.
Il partigiano “Pelo” pensava al giorno in cui aveva fatto la conoscenza di Pippo, il comandante. Pippo era il suo nome di battaglia: il suo vero nome era Manrico Ducceschi ed era pistoiese.
Ne aveva sentito parlare spesso, dalla gente del posto ed anche dai tedeschi. Ed era un personaggio che incuteva un certo timore ed era a volte descritto come un gigante barbuto, violento, sanguinario.
In uno dei primissimi, sofferti, combattuti, travagliati giorni da partigiano se lo era trovato davanti: un tizio che si faceva subito distinguere dalla massa degli altri per il viso aperto, gli occhi vivaci, luminosi: l’aspetto di uomo intelligente e sveglio. Non un gigante barbuto dall’aria feroce ma un giovane alto forse un metro e settanta, dalla faccia ferma, decisa, ma dai lineamenti gentili, nobili.
Chi gli era intorno lo chiamava Pippo e lui, colpito dall’aspetto di quel giovane, chiese al suo vicino chi fosse.
“E’ Pippo.”
“Il comandante?”
“Si, il comandante.”
Lo stava guardando, in quel momento, stava guardando Pippo, e lui, per una sua qualche ragione, stava guardando Pelo. Questi si mise a ridere, una risata sonora, inarrestabile; e tutti lo guardavano perplessi e non capivano e quando riuscì finalmente a fermasi Pippo gli chiese:
“Perché ridi tanto?”
Spiegò: rideva perché nel fondo valle tutti lo immaginavano molto diverso da quello che era ed il pensiero aveva scatenato la sua ilarità. Anche Pippo si mise a ridere, accompagnato dagli altri e Pelo si prese il primo cicchetto della sua vita da bandito perché, parlandogli, gli aveva dato del lei e lui non voleva:
“Da noi si usa solo il tu. Ricordalo!”
Ebbe poi modo di conoscerlo bene, divenne uno dei suoi fedeli e visse con lui tante e tante avventure.
(...)
In seguito alla battaglia di Montefiorino ci fu un grande sbandamento e molti uomini riuscirono a fuggire rifugiandosi chi di qua e chi di là. Molti furono i fuggiaschi che attraversarono la zona occupata da Pippo ed alcuni rimasero con lui, portando nuove forze pratiche della lotta.
Un giorno arrivò un gruppo di questi sbandati, erano una settantina e chiesero di potersi fermare. Permesso subito accordato, naturalmente, ma ad alcune condizioni: dovevano sistemarsi in un gruppo di capanne abbandonate site in un fondo valle appartato, non farsi notare allontanandosi troppo, non dovevano in alcun modo disturbare i contadini ed i pastori residenti nei dintorni. Questi erano persone che li avevano sempre aiutati come meglio potevano, erano loro amici ed alleati e loro ci tenevamo a che nessuno rompesse loro le scatole!
Era il tempo in cui Pelo teneva il collegamento fra il suo distaccamento ed il comando e tutti i giorni attraversava la zona nella quale si trovavano i nuovi arrivati e tutti i giorni aveva occasione di parlare con i pastori e contadini del territorio e cominciava a sentire delle lamentele: un gruppetto di uomini si era presentato in una capanna, aveva preso, di prepotenza, la pentola grossa ed alcune forme di formaggio e se ne era andato. In un altro luogo avevano rubato delle coperte, o del pane, ad un tizio avevano portato via una pecora. Egli raccoglieva queste denunce ed altre ancora ed un giorno le riferì a Pippo. Egli ascoltò serio, preoccupato, poi disse: “Domani mattina vieni con me.”
(…)
La mattina dopo partirono per tempo, Pippo e Pelo, e si incamminarono verso la zona in cui erano rifugiati gli scampati di Montefiorino. Pippo volle essere prima guidato presso tutti coloro che si erano lamentati, ascoltò le loro lagnanze, volle documentarsi con tutti e, una volta sicuro, chiese di essere accompagnato da quegli uomini.
Li riunì e parlò al loro capo e si fece sentire e bene. Ricordò i patti stabiliti e rinfacciò loro il comportamento tenuto. Ordinò di restituire tutto il maltolto, coperte, pentole, formaggio e tutto quello che non poteva essere restituito doveva essere pagato e se non lo fate torno qui con i miei uomini e vi do una bella lezione. E più presto ve ne andate e meglio è per tutti.
Fu un bel discorsino, piano, tranquillo, come era suo costume, ma molto chiaro e serio e non lasciava dubbi in chi lo sentiva e chi lo sentiva capiva anche bene che con lui non era il caso di scherzare, su certi argomenti!
Pelo lo stava a sentire: imparò molto, quel giorno, ebbe una bella lezione. Perché, pensava, noi siamo in due e loro sono in settanta. E se ne dovranno andare, sono disperati, dalle loro parti non possono tornare e dove vanno?
E si trovavano davanti Pippo che, con lui al fianco, dava loro una dura, inflessibile lezione di comportamento: vi serve una pentola? Basta chiedere in prestito, domani la riportiamo. Avete fame, volete una pecora? Ne abbiamo bisogno, la paghiamo. Nessuno si rifiuta, quassù. Ma voi non avete fatto così: contravvenendo ai patti avete rubato, avete usato violenza ai nostri amici e ora restituite il tutto e ve ne andate!
Loro erano in due gli altri settanta, affamati, disperati, avviliti. Poi Pippo prese la strada verso il comando e Pelo dietro a lui: fu poco piacevole passare, dopo una simile scena, in mezzo a due file di uomini (settanta) che li guardavano scuri in volto. Bastava un colpo di fucile perché tutto fosse finito. Era anche troppo facile, in quel momento, per quegli uomini, ucciderli e sparire. E la tentazione, almeno per molti di loro, deve essere stata grande.
Pippo continuò a camminare per la sua strada, imperturbabile, e Pelo tirò un bel sospiro di sollievo quando infilarono il valloncello successivo e sparirono alla loro vista. Dopo pochi giorni i settanta se ne andarono.
Pelo confessa: quel giorno ebbe paura!